“Vita di un magistrato contro la
camorra” è il sottotitolo di questa testimonianza fondamentale sulla
delinquenza associata in Campania. Se qualcuno ha già letto Gomorra di Roberto Saviano, queste pagine
danno l’altra faccia del fenomeno mafioso: lo
sforzo dello Stato e dei suoi rappresentanti di arginare se non di
eliminare questo fenomeno di malavita che dà potere a pochi per ucciderne
molti.Raffaele Cantone ha lavorato con
coraggio nella Direzione Antimafia campana per otto anni e si è interessato
proprio a quella parte della camorra che si è infiltrata nella zona di Casal di
Principe, celebre per la produzione di mozzarella di bufala. Ha lavorato con
grandi rischi – per quasi cinque anni è stato sotto scorta – ma è riuscito
nelle sue investigazioni a infierire un duro colpo alla malavita organizzata
della zona.
Il libro è interessante perché, più
di qualsiasi articolo di giornale, fa penetrare nei meandri di questa
delinquenza e soprattutto nei metodi per combatterla. Per esempio, le
dichiarazioni di un pentito di mafia possono durare un numero determinato di
giorni: altrimenti, in cambio della copertura dello Stato, ogni pentito si
arroga il diritto di modificare le confessioni come più gli conviene. I
camorristi lasciano stare in genere coloro che si rifiutano di pagare il pizzo,
soprattutto se fanno parte di associazioni antimafia: sarebbe troppo
dispendioso perseverare e anche di impatto negativo. Anche gli onesti rischiano
di diventare conniventi: come il prete che chiede al giudice di far rientrare a
casa un padre per il figlio malato, non rendendosi conto che quest’uomo è un
pericoloso assassino. E in ogni caso ci si rende conto che la mafia, pur
generando episodi terribili di violenza, vince perché genera più rispetto verso
i suoi appartenenti che verso gli esponenti dello Stato: quest’ultimo si fa
rispettare solo attraverso l’azione di un suo magistrato. E non è abbastanza.
Daria Peterlongo
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